L’approccio cognitivo-comportamentale incentra il lavoro terapeutico sui tre fattori principali: il pensiero (l’aspetto cognitivo), le emozioni e il comportamento. Prendiamo ad esempio questa storiella tratta da Istruzioni per rendersi infelici di Paul Watzlawick:
C'è ovviamente una componente paradossale nel racconto, che esaspera però ciò che nella norma tutti facciamo in vari ambiti della vita, ossia interpretiamo la realtà, talvolta fino a crearne una versione parallela a quella oggettiva. Già Epitteto (50 – 125 d.C.) sosteneva con la sua celebre frase, che “ciò che tormenta gli uomini non è la realtà ma l’idea che di essa se ne fanno”. Non sono concetti da rendere assoluti, perché la realtà può essere oggettivamente molto dolorosa a prescindere dalle nostre interpretazioni. Quando però la interpretiamo a sfavore del nostro benessere, allora entra il gioco il lavoro cognitivo, che ristruttura i pensieri disfunzionali e ci aiuta a cambiare il rapporto con essi. I pensieri disfunzionali sono appunto credenze, spesso molto radicate in noi, che ci creano sofferenza o disagio. Basti pensare ai pensieri di autosvalutazione o ai pensieri relativi al timore di ammalarsi gravemente quando invece si è in ottima salute, solo per fare qualche esempio.
I pensieri disfunzionali derivano frequentemente da ciò che nel corso della vita abbiamo imparato a pensare circa noi stessi e il mondo circostante. Un ambiente screditante, ad esempio, creerà probabilmente pensieri negativi circa il proprio valore. Possiamo solo affermarlo in termini di probabilità, perché gli apprendimenti che si concretizzano nel nostro sviluppo, dipendono anche da condizioni temperamentali che li facilitano. La mente degli esseri umani è infatti il risultato di vari fattori, ma ciò che conta è che tale risultato può essere modificato nella direzione del benessere individuale.
Il lavoro cognitivo agisce anche in quelle situazioni in cui gli eventi hanno una valenza realmente negativa per il soggetto, ossia quando non entrano in gioco storpiature soggettive. In questi casi si mettono in atto strategie di elaborazione di ciò che accade o è accaduto nel passato e modalità più proficue di considerare e affrontare la realtà.
L’uomo che aveva il chiodo ma non il martello, oltre ad avere determinati contenuti di pensiero, sviluppa una conseguente emozione, nel suo caso la rabbia. Le emozioni sono frequentemente il risultato delle nostro modo di vedere la realtà, talvolta invece sono conseguenza diretta di ciò che accade attorno a noi. In terapia si impara la loro gestione e in alcuni casi l’abilità di accettare le emozioni non modificabili, derivanti da eventi altrettanto non modificabili.
Sempre il nostro protagonista della storiella ha anche un preciso modo di comportarsi, che è a sua volta conseguente ai pensieri e alle emozioni che lo precedono. Il comportamento, inteso come azioni e come parole profferite, è un atto comunicativo che provoca un feedback nell’ambiente circostante, talvolta negativo e controproducente. Il vicino di casa di certo smetterà di salutarlo! In terapia si agisce bloccando il processo: pensiero – emozione – comportamento. Si parte, come abbiamo visto, dagli anelli iniziali della catena e si arrestano quei processi automatici che portano da una visone disfunzionale della realtà e a una immediata reazione, spesso senza passare dalla reale considerazione di ciò che accade.
Talvolta il comportamento è strettamente dipendente da apprendimenti acquisiti nel corso della vita. Quando tali apprendimenti sono disfunzionali, vengono messe in atto tecniche di disapprendimento. Un esempio può essere mangiare davanti alla televisione nei disturbi alimentari; un comportamento che porta ad alimentarsi in eccesso e senza controllo e che il cervello apprende dopo varie ripetizioni seguite da una rinforzante sensazione piacevole.
ITER TERAPEUTICO
ASSESSMENT
La fase iniziale dell’intervento terapeutico si chiama assessment. Tramite il colloquio clinico e l’eventuale uso di questionari psicodiagnostici, si raccolgono le informazioni sufficienti e necessarie per arrivare alla diagnosi e a stabilire quali sono gli obiettivi generali del trattamento. Tra gli scopi, ovviamente è prioritaria l’attenuazione o scomparsa dei sintomi ma non manca anche l’attenzione alle problematiche personali o di vita non necessariamente patologiche. In terapia si imparano infatti anche abilità di vario genere; dalle abilità sociali e di comunicazione, alla capacità di gestire efficacemente il proprio tempo o di prendere decisioni o ancora si cerca di risolvere situazioni concrete che causano disagio al paziente.
TERAPIA
La terapia persegue gli obiettivi che paziente e terapeuta hanno insieme stabilito e prevede una stretta collaborazione tra i due.
Si avvale di tecniche che richiedono un apprendimento attivo e una partecipazione impegnata e costante da parte del paziente.
Le tecniche utilizzate sono specifiche per ogni disturbo, sommariamente si possono riassumere in: EMDR, tecniche di terza generazione, quali ACT (Acceptance and Commitment Therapy) e mindfulness, tecniche di rilassamento, training di assertività, esposizione enterocettiva all’attacco di panico e le tecniche tipiche dell’approccio cognitivo-comportamentale.
FREQUENZA DELLE SEDUTE
All’inizio del percorso la frequenza delle sedute è generalmente settimanale. Si passa poi a una volta ogni 15 giorni e successivamente a una volta al mese per qualche tempo, per verificare il mantenimento dei risultati. Questo schema viene però adattato alle singole esigenze del paziente.
CONCLUSIONE E VALUTAZIONE DEI RISULTATI
Alla fine del trattamento si verifica il raggiungimento dei risultati, si tratta ciò che eventualmente ancora richiede qualche approfondimento e ci si avvia poi alla prevenzione delle ricadute.
DURATA DEL TRATTAMENTO
I singoli pazienti e i vari disturbi hanno tempistiche non determinabili a priori. La terapia cognitivo-comportamentale rientra comunque nelle terapie brevi.