Meditare significa sospendere ogni forma di pensiero tramite la concentrazione su un focus attentivo che può essere un suono, una oggetto da visualizzare, l’attenzione sull’attività del presente, il respiro o il pensiero stesso inteso come evento mentale da osservare senza identificarvisi e senza farvi seguire catene associative. Significa inoltre sospendere ogni giudizio, assumendo la posizione del “testimone”, per cui ogni contenuto mentale viene solo osservato uscendo dai ristretti confini del giudizio “giusto-sbagliato”, “bello-brutto”, “buono-cattivo”.
Perché tutto ciò? Perché la fatica di imparare durante la seduta meditativa a interrompere il flusso del pensiero e andare contro l’attività che per eccellenza rende la specie umana così nettamente superiore a ogni altra specie?
Molti sono i motivi che non rendono vano lo sforzo.
Innanzitutto la seduta meditativa è caratterizzata da specifiche modificazioni fisiche, che contrastano efficacemente gli effetti fisici dello stress sull’organismo. Durante lo stato meditativo si verifica infatti un aumento della frequenza e ampiezza delle onde alfa, la riduzione del consumo di ossigeno e di anidride carbonica e della frequenza cardiaca (Wallace, 1998). Da un punto di vista ormonale e in relazione alla liberazione di neurotrasmettitori è stata riscontrata la regolazione della produzione di cortisolo, ormone prodotto durante una condizione di stress, la riduzione della noradrenalina, neurotrasmettitore prodotto sotto stress, un aumento della malatonina, della serotonina, del Dhea, (deidroepiandrosterone), ormone con ruolo sull’umore e sul sistema immunitario, ed infine un aumento del testosterone (Carosella, Bottaccioli, 2003).
Gli effetti psicologici ed esistenziali della meditazione sono strettamente connessi all’ estensione nella vita quotidiana della concentrazione e attenzione rivolte al presente con sospendendo l’attività di pensiero quando non è utile e disfunzionale e dell’assunzione della posizione del “testimone”. Queste caratteristiche del vivere meditativo sono tra loro strettamente collegate. Viviamo infatti solo parzialmente nel presente, perchè la mente ci distrae dal momento di vita in cui siamo immersi. I pensieri sono generalmente rivolti al passato o al futuro e per lo più agiamo secondo automatismi che ci privano della consapevolezza piena di ciò che stiamo in realtà esperendo. La presenza consapevole o mindfulness è invece l’esserci totalmente e in modo assoluto dentro al nostro presente, non nel passato, non nel futuro ma qui ed ora.
La mindfulness concettualizzata da J.Kabat-Zinn, professore di medicina e fondatore della Clinica per la Riduzione dello Stress dell’Università del Massachussetts, deriva dalla tradizione classica buddhista e ha avuto larga sperimentazione e largo utilizzo in campo clinico. Kabatt-Zinn ha trattato pazienti con patologia cronica sottoposti ad alti livelli di stress psicofisico dovuto alle cure invasive, al timore della morte e al dolore fisico. Sono stati studiati 1200 pazienti su un periodo di 2 anni. I risultati indicano una riduzione della sintomatologia fisica e dei sintomi psicologici quali rabbia, ansia, depressione, somatizzazione e percezione negativa del proprio corpo. Aumentata invece la resistenza allo stress, caratterizzata dalla capacità di autocontrollo, di vivere la vita con intensità e dalla capacità di considerare i cambiamenti come una sfide.
Jhon Teasdale, studioso all’Università di Cambridge presso la Medical Research Council’s Cognitionand Brain Sciences Unit, ritiene la mindfulness essere uno strumento per raggiungere una modalità di funzionamento alternativo della mente, secondo cui vene accettato incondizionatamente ciò che accade, senza la tensione volta al raggiungimento di uno stato esperienziale differente da quello contingente.
Questo vale anche per i pensieri e per le emozioni, che vengono in questo modo considerati oggetti che entrano ed escono dall’ambito della coscienza, a cui non deve necessariamente seguire una risposta automatica, ma a cui può seguire la libertà di scegliere come e se rispondere. Si tratta di interporre tra lo stimolo e la risposta, la consapevolezza e la comprensione del momento nonché di noi stessi in quel breve frangente di vita senza schemi prefissati, pregiudizi e fissità funzionali. Il momento per quello che è, il pensiero per quello che è, la libertà di fare sia del momento sia del pensiero ciò che si vuole, uscendo da filtri cognitivi che rendono l’interpretazione della vita monotematica e le reazioni automatiche. In questo senso si tratta di rendere le reazioni azioni, azioni consapevoli, basate sulla presenza consapevole. Si tratta di disinnescare il pilota automatico con cui per lo più viviamo e diventare padroni del nostro presente.
Le implicazioni cliniche della mindfulness nascono dall’incontro con la Cognitive Therapy. JohnTeasdale, Mark Williams, professore di Psicologia clinica all'Università del Galles e Zindel Segal, professore di Psichiatria e psicologia all'Università di Toronto, hanno intrecciato la mindfulness meditation con le tecniche della Cognitive Therapy, dando vita alla Mindfulness-based Cognitive Therapy, con cui sono stati trattati con successo i disturbi depressivi.
Il punto nodale del trattamento è lo spostamento della coscienza rispetto ai sintomi, ossia la coscienza non si identifica con il suo contenuto patologico, ma osserva le sensazioni interne e i pensieri con la calma di un testimone esterno, disidentificandosi da ciò che di negativo il pensiero comporta a livello contenutistico ed emotivo.
E’ come dire che il soggetto non è il sintomo, non è la depressione. Questo induce con la pratica a rendersi consapevoli dei meccanismi automatici che sottostanno a pensieri e emozioni patologici. Il dato di notevole interesse (J. Teasdale ,1999) è la scomparsa progressiva o comunque la riduzione dell’automatismo del procedere disfunzionale del pensiero.
- J. Schwartz (1999), docente di psichiatria presso l’Università della California ha applicato il paradigma della mindfulness a pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo, suddividendo l’intervento terapeutico in 4 passaggi:
1.Rielaborazione: riconosci il pensiero ossessivo intrusivo e la compulsione come risultato del DOC
2.Riattribuzione: realizza che l’intensità e l’intrusività del pensiero o della compulsione è causato dal DOC; è probabilmente correlato ad uno squilibrio biochimico del cervello. Ricorda: non sono io, è il DOC.
3.Rifocalizzazione: raggira i pensieri ossessivi focalizzando l’attenzione su qualcos’altro per qualche minuto, cioè, fai qualcos’altro.
- 4. Rivalutazione: non prendere i pensieri ossessivi come “verità nominale”. Non sono significativi di per sé.
Scwartz ipotizza che lo sforzo della volontà unitamente alla posizione del testimone e alla disidentificazione dal sintomo, nei momenti critici della terapia cognitivo-comportamentale, ossia quando il paziente attivamente cambia le sue risposte all’ansia generata dai pensieri ossessivi, siano in grado di generare nuovi circuiti neurali che vanno a sostituire quelli prima implicati nei processi neurali patologici.
Questi studi e ricerche - estesi successivamente a molte altre categorie diagnostiche quali ad esempio disturbi alimentari, dipendenze patologiche, disturbi d’ansia - mettono in risalto che una cosa è la coscienza e una cosa sono i suoi contenuti. Non si tratta di fenomeni necessariamente coincidenti ed è proprio la capacità di lavorare internamente su questa “non coincidenza” che garantisce benessere e salute mentale. Se infatti riusciamo ad attuare un’osservazione attenta ma non reattiva rispetto ai nostri contenuti mentali vuole dire che al di là di essi c’è qualcuno che osserva e quel qualcuno siamo noi. Come dicono gli orientali, i pensieri sono le nuvole e noi siamo il cielo, tutto sta nel non identificarsi con le nuvole ma con il cielo.
La pratica della consapevolezza se coltivata durante la quotidianità ci aiuta dunque a sviluppare la nostra capacità di ascolto della mente e a introdurre la presenza mentale, che spezza gli automatismi comportamentali, cognitivi ed emotivi, garantendo libertà e benessere, ove il benessere è la massima e piena espressione dell’esseri liberi, innanzitutto da se stessi.
Bibliografia
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